a cura di Valentina Tomirotti*
Che sapore ha l'amore quando uno dei due partner è in carrozzina? Quali sono le difficoltà? E le bellezze? Ce lo spiega la mantovana Valentina Tomirotti – donna con disabilità, classe 1982, giornalista freelance per passione e lavoro, si occupa di comunicazione e social media – in questo intervento dal tono graffiante, crudo, quasi impietoso. Perché l'amore ti fa vedere innanzitutto te stessa in una luce che non avevi mai scorto prima di allora, ti fa vedere te in relazione ad un'altra persona. Che, in quanto altra, può non capire, non volere, non accettare: e allora l'amore fa male, e bisogna ripartire. Quanto è frustrante iniziare, cadere e poi ricominciare daccapo... Ma è la vita, e Valentina sceglie di affrontarla nonostante tutto, con i suoi spigoli e i suoi momenti felici. Portando la sua quattroruote e il suo contagioso sorriso sempre in giro per il mondo, sotto il segno di un'eterna conquista. (Silvia Lisena)
- Che occhi grandi che hai…
- È per guardarti meglio…
Più che una favola, è la mia vita amorosa.
Che l’amore ti fotte è un dato di fatto. Arriva alle spalle, come una canzone della Pausini, indecisa tra il suicidio e l’acquisizione delle quote di maggioranza di un’azienda di fazzoletti di carta, t’investe e ti destabilizza. Va digerito per imparare a conviverci. Facciamo l’errore di considerare l’amore come un qualcosa matematicamente pari, da vivere a multipli di 2. Credo sia l’errore che paghiamo più di frequente. Invece amare se stessi dovrebbe essere prima un dovere, poi un diritto costituzionale, qualcosa di punibile con una pena corporale pari alla totale assenza di cioccolata e schifezze, moralmente utili, per tutta la vita.
Capiamo l’amore solo quando scorre tra le lacrime, mentre dovremmo conoscerla in punta di un sorriso. Mi sono data un limite qui, ma mai nella vita. Voglio raccontarvi un sentimento, il mio, in queste righe, dove sbrodolo fin dove si può arrivare scegliendo tra vivere ed esistere.
Se fossi già arrivata al traguardo avrei molti più capelli bianchi di quelli che copro ogni mese dipingendomi la testa peggio di un Picasso, ma posso raccontarvi un amore diverso tra diversi per versi sbagliati e, per altri, tremendamente giusti.
Sono quella che fa l’amore con le parole, prima che col corpo. Scrivo come allenamento fisico, mentre gli altri si sciolgono in palestra. Io alleno l’anima sporcandola d’inchiostro. Arrivi ad essere così, se capisci che è una via d’uscita bella per far pace con quello che non ti è stato dato. Quando distribuivano la perfezione, sicuramente io ero persa a sognare ad occhi aperti e qualcuno mi è passato davanti. Non sono perfetta alla vista, all’udito e pure al tatto, ma ho fame d’amore, tanto quanto di cioccolata.
Inizio così a dipingere questo pezzo perché si capisca l’amore ‘seduto’, comodo per convenienza ma non per convivenza. Sono innamorata prima di me stessa e poi degli altri, perché solo così chi sceglie di starmi accanto può cogliere il buono che porto addosso. Ci si innamora rispettandosi, ma soprattutto lanciandosi in nuove esperienze, ascoltandosi meno, ma parlando di più. Ci si innamora guardandosi in faccia e dentro. Io non cammino, ma m’innamoro e corro veloce nelle emozioni. A 33 anni non ho ancora capito se m’innamoro per scappare dalla noia o perché voglio costruire qualcosa che vada oltre la data di scadenza prefissata. E’ grave non capirlo o non saperlo, questo è proprio il periodo delle domande aggrovigliate che cercano risposte, forse, troppo facili da accettare. Proprio perché mi amo, ho deciso di spolverare la vecchia Valentina, brava ragazza sempre in carreggiata su rotaie nitide verso obiettivi belli, ma soliti. Io sono insolita fuori e anche dentro. Dopo il progetto Boudoir Disability non mi sono più rivestita, non ho più coperto idee e obiettivi, ma non ho coperto nemmeno i sentimenti. Le cose sono cambiate, molto, come se la gente avesse più bisogno di me di capire che sotto ai vestiti c’è davvero una donna. Ora che l’hanno colto e anche accettato, piovono disastri. Io mi sento sempre più in un labirinto emotivo. Vivo esperienze dove sono divisa tra cuore e corpo e, se da un lato la situazione pare non complicata, dall’altro continuo a sbattere contro il muro tra fare la cosa giusta e divertirmi.
Le rotaie non mi hanno abbandonate, ma questa volta sono pazze, hanno curve, sono in salita e in drastica discesa. Un gioco ormonale quasi al massacro, ma troppo bello da dichiarare finito. Non alzo nessuna bandiera bianca, mi barcameno in questo slalom cercando di galleggiare. Alcuni giorni è facile come respirare, altri è facile come piangere.
Porto avanti un percorso parallelo che non ha niente in comune: in mezzo ci sono solo io che ogni giorno maledico, con gli occhi a cuore, gli inizi.
Coltivo una persona, quella della pace interiore, quella delle farfalle, delle mani sudate mentre ci aspettiamo, quella che c’è e ci sarà finché vorrà. Quella che non conosce l’amore, ma conosce me più di chiunque altro. Non posso dire di amarla, ma potrei andarci vicino forse perché con lui Sono. Il nostro rapporto non merita etichetta e non ha confini, ma ha muri che costruiamo a turno per non permetterci di distruggerci del tutto. E’ a metà tra una partita di Risiko e di Monopoli: ci facciamo la guerra, ma ogni volta torniamo a sceglierci per costruire sempre di più. Non capisco dove stiamo andando, il tempo passa e io mi sento soffocare da una situazione non definita, ma che meriterebbe l’opportunità di esistere. Semplicemente non dovrebbe chiamarsi amore ma bisogno, bisogno di marcare il territorio, di piantare una bandierina in testa ad una persona come fosse un trofeo o forse è un ancoraggio per sentirsi vivi. E’ una sfida giornaliera tra il sentirsi amati ed essere presenza nella vita altrui. Non so dove porterà tutto questo, ma qui è solo il cuore in pancia che comanda. Non ho nulla in mano, se non lui. Cosa mi frena dallo sparire? sulla bilancia, la sofferenza sarebbe maggiore se lui non facesse più parte della mia vita. Vedetela pure come magra consolazione o un antidepressivo bipede.
Uccisi gli uccellini cinguettanti, avvelenati i fiori e oscurato il sole, guardi l’altra faccia della medaglia e hai la storia con un’altra persona che ti vuole senza rate, prende il pacchetto completo e lo prende tutto in un colpo, mentre la fidanzata è occupata a fantasticare sul loro futuro.
Sì, sono la versione femminile di mr jekyll e dott hyde e non ne vado fiera, ma ho il coraggio di ammetterlo e di vomitarmelo addosso ogni volta che mi specchio, ma tra volere e potere c’è di mezzo un sacco di sfumature, di buio e luce e tanta sana adrenalina. C’è la consapevolezza di non avere alcun obiettivo, di non voler costruire niente, di non nominare mai il futuro e soprattutto di non avanzare mai pretese sul cambiare la sua vita di cui ora faccio parte anche io, pur non esistendo.
Santo Dio è pure bello sfruttare queste dannate ruote a proprio piacimento: essere in carrozzina ti porta ad essere relegata e percepita in modo diverso dalle altre donne, non vieni temuta come rivale. Non vorrai che un uomo perda la testa (e pure qualcosa d’altro) per un concentrato di difetti che parlano pure in silenzio. Questa si chiama sporca libertà egoistica, ma per una volta tanto chissenefrega.
Più che una vita sembra una partita alla roulette russa. Prima o poi fallirò e pagherò tutto, per ora voglio sbagliare col sorriso, in attesa che un ti amo compaia sulla mia bocca più duraturo di un bacio al buio.
*Il presente testo è già stato pubblicato su Pepitosa Blog, e viene qui ripreso per gentile concessione.