Quando il bullismo ha il “fattore H”

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a cura di Silvia Lisena

Il bullismo è, sfortunatamente, un fenomeno evergreen che continua a mietere vittime anche tra le persone con disabilità. Cosa significa bullizzare una persona con disabilità e come si può affrontare il problema? Presentiamo due fatti di cronaca relativamente recenti da cui traiamo interessanti osservazioni e proposte in merito.

Bullismo: una parola che mette i brividi, un tema purtroppo sempre attuale che ogni tanto fa capolino sulle pagine di cronaca dei giornali. Viene definito da Farrington come «il reiterarsi di comportamenti e atteggiamenti diretti o indiretti volti a prevaricare un altro con l'intenzione di nuocere, con l'uso della forza fisica o della prevaricazione psicologica» e da Menesini come un fenomeno che «comprende azioni offensive o comportamenti di esclusione sociale perpetrati in modo intenzionale e sistematico da una o più persone ai danni di una vittima che spesso ne è sconvolta e non sa come reagire». Come un virus, esso colpisce indistintamente: ragazzi e ragazze, persone di colore e persone non di colore, persone con disabilità e persone senza disabilità.

Recentemente, si è trattato molto del cyberbullismo – ossia il bullismo perpetuato attraverso la Rete –, la cui neopaladina è la 33enne aretina Ilaria Bidini, affetta da osteogenesi imperfetta e nominata Cavaliere della Repubblica per la sua lotta contro il bullismo e il cyberbullismo che promulga attraverso interventi pedagogici nelle scuole.

Ma cosa è, esattamente, il bullismo a danno di persone con disabilità e cosa provoca?

Di seguito riprendiamo due episodi di cronaca che hanno come protagoniste due ragazze con disabilità che sono state vittime di bullismo all'interno del contesto scolastico.

La prima, Gianna, è autistica con qualche disturbo del comportamento, frequenta la terza media in una scuola di Legnano (MI) e sta ultimando i preparativi per la fatidica gita in Alta Austria, occasione educativa e di svago che può costituire un bel ricordo del periodo scolastico. Ma ecco che sorge il problema: nessuno dei compagni di classe si mostra disposto a condividere la stanza dell'albergo con lei, sconfinando poi nello scherno all'interno della rispettiva chat di Whatsapp. Gli altri genitori palesano la medesima preoccupazione e la scuola non si rivela capace di offrire un intervento immediato e risolutore, quindi il padre di Gianna rinuncia a mandarla in gita. Oltre al danno, anche la beffa, perché l'agenzia di viaggi a cui si era rivolta la scuola lo costringe persino a pagare la penale.

La seconda protagonista è una studentessa con disabilità motoria che frequenta la seconda superiore in una scuola di Parma che, alla vigilia della consueta cena di classe per festeggiare insieme la fine dell'anno scolastico, nel gruppo Whatsapp si imbatte nel rifiuto delle sue compagne, motivato dalla necessità della presenza di un'accompagnatrice per la ragazza che contrasterebbe con la ferrea volontà di non includere nessun adulto e dichiarato in un messaggio glaciale: «È nostra intenzione fare una cena di classe, anche magari per parlare di altro invece che di scuola, e preferiremmo che non ci siano genitori, ma dal momento in cui deve essere presente una figura per te, non vorremmo che tu venissi. Da tutta la classe». Lei ribatte di non avere bisogno di una sorveglianza continua e che comunque potrebbe anche usare la carrozzina elettrica, ma i toni delle interlocutrici diventano più aspri recriminando di non averlo saputo prima e la mancata possibilità di andare in gita, cosa che la ragazza spiega col fatto che il pullman scelto non era dotato di pedana e quindi in ogni caso lei non avrebbe potuto partecipare. Anche in questo episodio, la scuola non fornisce alcun tipo di aiuto, nonostante il grande lavoro di inclusione svolto dalla docente di riferimento durante l'anno scolastico, e demanda il compito alla questura presso cui i genitori devono sporgere denuncia; purtroppo persino l'autorità non prende provvedimenti in quanto non sussiste la reiterazione del fenomeno che lo configurerebbe così come bullismo, atti persecutori o stalking.

Da un report dell'Istat risalente al 2014, si evince che poco più della metà dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni ha subito bullismo e che, sorprendentemente, i preadolescenti ne sono le maggiori vittime, soprattutto le femmine; di questi, i ragazzi con disabilità hanno una probabilità due o tre volte superiore di essere vittima di bullismo rispetto a chi non ha nessun handicap, perché «tra gli altri, i ragazzi con disabilità sono spesso vittime dei bulli che ripropongono ed enfatizzano pregiudizi ancora presenti nella società. La persona con disabilità appare un “diverso” più facile da irridere o molestare», come si legge nelle Linee di orientamento per azioni di prevenzione e contrasto al bullismo e al cyberbullismo emanate nel 2015 dal Ministero della Pubblica Istruzione, a cui si aggiungono le parole di Marco Bongi – presidente dell'Apri (Associazione piemontese retinopatici e ipovedenti) – che mette in evidenza che «c’è la prevaricazione verso il disabile con un deficit non mentale, ma fisico, sensoriale. In questo caso il danno è più profondo, perché la persona è consapevole del danno psicologico, dei segni che lascerà, anche da adulto. E questi atti acuiscono un elemento già presente nel disabile: la diffidenza».

Una ragazza con disabilità che subisce il bullismo è vittima due volte, in quanto persona disabile e in quanto donna. L'esclusione da contesti conviviali quali la gita scolastica o la cena di classe, che rappresentano il fulcro della vita di un preadolescente e di un adolescente dal momento che permettono di accrescere le proprie capacità sociorelazionali e conseguentemente di plasmare la propria identità personale, non fa altro che solcare ancora di più quel divario tra la disabilità e la non disabilità. Implicitamente, Gianna sarà spinta a sentirsi in colpa per il suo autismo e i disturbi comportamentali e l'altra studentessa sarà spinta a sentirsi in colpa per aver obbligatoriamente bisogno di essere accompagnata e assistita da qualcuno. Si rischia, dunque, di creare un trauma in queste ragazze che si avviano non sufficientemente equipaggiate ad una vita adulta professionale e sociale dove inevitabilmente dovranno fare appello a tutte le proprie risorse per non soccombere di fronte alle limitazioni mentali ancora presenti nel mondo e per affermare la propria posizione e identità di donne.

Quali sono le soluzioni possibili?

Dall'Irlanda arriva un progetto biennale europeo volto ad affrontare il problema del bullismo sulle persone con disabilità: la Dublin City University ha infatti creato DisAbuse, un progetto che esaminerà le strategie di prevenzione e contromisure sul tema, guidato dal Centro nazionale di ricerca e risorse anti-bullismo della DCU e finanziato dall’Autorità per l’Istruzione Superiore, dal Programma Erasmus e dall’UE. Esso metterà inoltre a disposizione corsi pratici e risorse per insegnanti e formatori professionisti, producendo alla fine un rapporto basato su dati raccolti con raccomandazioni politiche diffuse a tutte le parti interessate, comprese le autorità governative regionali e nazionali.

Ma senza andare troppo lontano, si potrebbe intervenire maggiormente sul sistema scuola che molto spesso si trova al centro di casi di bullismo e che molto spesso si rivela fallimentare nell'adozione di provvedimenti validi e duraturi, mediante un accurato lavoro di équipe fatto in partenza e basato sulla collaborazione costruttiva di insegnanti, genitori, educatori e figure professionali di counselling e di aiuto, e magari anche testimoni diretti che hanno subito episodi di bullismo in modo da varare un insieme di piani strategici connotati pedagogicamente da attuare sul gruppo classe per garantire il benessere psicofisico del singolo alunno e per divulgare un'educazione basata sul rispetto e sull'apertura alla diversità come fonte di arricchimento personale.

Fonti:

Ritratto di gruppodonneuildm

gruppodonne