a cura di Silvia Lisena
Mi ha scritto un ragazzo, K. Americano, di Los Angeles. Iniziamo a parlare, mi chiede informazioni sulla mia disabilità, mi chiede come vivo. Mi dice che cerca una ragazza disabile, e io non dico nulla. Mi dice che desidera venire qui in Italia per aiutarmi, io gli chiedo il motivo – considerato che non mi conosce e che io non mi sono presentata come una persona bisognosa d'aiuto – e lui risponde che gli piace farlo. Mi parla anche di “poveri bambini disabili” che non hanno i genitori. Gli chiedo se sia un devotee. Mi risponde di sì.
La versione inglese di Wikipedia definisce il devotismo come un “interesse sessuale verso una persona che presenta una qualche disabilità”. Il DSM-IV-TR (APA, 2001) identifica questa pratica come una parafilia simile ad una forma di feticismo sessuale, ed è anche inclusa nell'elenco stilato da Anil Aggrawal nel 2009.
“I devotee sono delle persone che hanno una particolare attrazione per le persone disabili, una attrazione fisica a livello sessuale: riescono ad eccitarsi di fronte a una ragazza che presenta delle amputazioni oppure che è seduta su una carrozzina; questa viene definita come patologia, in realtà il devotismo è solo una delle tante sfumature dell’erotismo.” spiega Tania Bocchino, artista disabile ed autrice del libro “Nuda Pelle” e presidente dell’Associazione Le Baccanti. “Le persone chiedono di poterti toccare le gambe, di poter guardarti mentre mangi, oppure darti da mangiare loro… chiedono di poterti pettinare o di accompagnarti in bagno… ti trattano come una bambola, ma lo siamo tutti bambole, io forse più di altri ma perché ho bisogno di aiuto […] Sono persone normalissime che in molti casi hanno una loro famiglia, hanno dei figli, una moglie normale che non presenta nessuna disabilità e che però girano su facebook, su internet, e quando vedono una ragazza carina in carrozzina l’avvicinano. Sono sempre molto chiari, ne ho incontrati molti, è difficile fraintendere”.
Il devotismo è un fenomeno molto popolare in America, ben poco conosciuto in Europa, ancora meno in Italia. In Italia dove, per altro, si sta lottando per l'annosa questione dell'assistente sessuale per le persone con disabilità: a tal proposito il sessuologo Fabrizio Quattrini, pur dichiarandosi propenso all'introduzione di questa figura, avverte di stare attenti “a chi magari potrebbe leggere dietro la scelta dell'assistenza sessuale il bisogno del piacere personale”, accertandosi quindi che non vi siano devotee che sarebbero attratti sessualmente dalle persone con disabilità esclusivamente per il loro handicap.
Qual è, dunque, il punto?
Forse il punto non è tanto arrogarsi il diritto di giudicare se sia giusto o sbagliato che esista una figura quale quella del devotee. Il devotismo è un'attrazione sessuale e morbosa per l'handicap di una persona, né più né meno; che possa partire da una concezione astrattamente anche corretta, ossia il fatto che le imperfezioni possano essere considerate “belle”, ma tale rimane. Il punto primo e sostanziale, a mio parere, risiede nella consapevolezza che la persona con disabilità dovrebbe avere nei confronti di questa pratica, che in realtà è fortemente connotata in modo egoistico, dal momento che il devotee non è attratto, infatuato o conquistato dal carattere della persona con disabilità, ma solo dal suo handicap. Non è attratto dall'interiorità della persona, dalla sua stessa essenza, ma è attratto dalla sua esteriorità. Il devotee si situa all'estremo opposto della gente che vede la disabilità come un ostacolo. Ciò che bisognerebbe arrivare a comprendere, se ancora non lo si è fatto, è che la pratica del devotismo è cosa lontana anni luce dall'amore. Attraverso il devotismo, non solo viene “sfruttata” una condizione dell'individuo per procurare piacere a scopo – ripeto nuovamente – puramente egoistico, ma si colpisce, danneggiandola, anche la sensibilità dell'individuo in questione che magari vive male la sua disabilità e si illude di vedere nel devotee colui che finalmente riuscirebbe ad accettarlo così com'è.
Passo quindi al secondo punto che ne è un'immediata conseguenza, oltre ad essere una storia già sentita ma che non fa mai male ripetere: amare se stessi. Credo che uno degli errori più grandi, se non il maggiore, che possa commettere una persona con disabilità è ricercare qualcuno che la colmi di quell'amore che non è riuscita a darsi da sola: in altre parole, “voglio qualcuno che possa aiutare ad accettarmi e ad amarmi”. È una concezione sbagliata. Perché? Perché si rischia di incappare nella gente sbagliata. Ed inoltre perché il nostro corpo ci appartiene, noi lo conosciamo o noi dobbiamo imparare a conoscerlo. Noi, persone con disabilità, sappiamo quali sono le nostre imperfezioni, i nostri limiti, le nostre difficoltà. Siamo noi che dobbiamo avere questa consapevolezza e trasmetterla agli altri, in modo tale da non pretendere che qualcuno ci ami ma anzi, impegnarci a farci amare insegnando a qualcuno ad amarci. Non ci serve che qualcuno ci dica che ci ama nonostante le nostre imperfezioni, ma dobbiamo essere in grado noi per primi di dire a qualcuno “non preoccuparti, ti insegnerò ad amarmi nonostante le mie imperfezioni ed anzi proprio con esse”, senza che suoni come una preghiera disperata, piuttosto come un curioso invito. L'amore non è e non deve essere una pretesa o una richiesta d'aiuto, ma appunto un invito, un'offerta, una sfida che ha il sapore di una danza sincronizzata.
Poi ogni persona con disabilità è libera di affidarsi alla pratica del devotismo, ci mancherebbe. Ma almeno lo faccia portandosi dietro la consapevolezza del proprio valore, della propria dignità e soprattutto della propria forza.
Sitografia
Per la definizione di “devotismo”: Attraction to disability, List of paraphilias, Devotee e l’attrazione sessuale per i disabili
Intervista a Tania Bocchino
Intervista a Fabrizio Quattrini